Claudio Tucci: «In questi giorni abbiamo ricevuto tanto affetto. Ho voluto condividere con tutti l’ultimo bacio a Giuseppe. Lui era un vigile del fuoco, come me e come suo nonno»
«Dopo la morte di Giuseppe ho creduto che al mondo ci fosse solo cattiveria. Ma l’affetto che abbiamo ricevuto in questi giorni ci fa sperare che non le cose non stiano così».
Parla al telefono con voce commossa Claudio Tucci, vigile del fuoco ancora in servizio e padre di Giuseppe il pompiere morto a Rimini lunedì 12 giugno dopo una rissa con un buttafuori ora accusato di omicidio volontario. Il papà del pompiere vive a Foggia con la moglie, ma Giuseppe Tucci ha lasciato anche un figlio, adolescente ora affidato alla madre.
Claudio Tucci, lei ha deciso di condividere sui social network la foto al capezzale di suo figlio mentre lo bacia sulla fronte. Un’immagine che ha scosso molte coscienze. Ricorda quei momenti?
«Ho ricevuto l’affetto di tutti, da tutta Italia. Ma già prima di condividere quell’immagine. Ho pensato di farlo per questo motivo per un ultimo abbraccio a Giuseppe. Ho condiviso per davvero l’ultimo bacio che ho dato a mio figlio. Di tutta questa vicenda resterà anche la grande manifestazione di cordoglio e di affetto che mi è arrivata anche da persone che non conoscevo, da persone lontane, persino dalla Sardegna. E pensare che quando è successo quello che è successo ero convinto che a questo mondo ci fosse spazio solo per la cattiveria. E invece c’è speranza, in fondo. Ma non è l’unica cosa a consolarmi, c’è altro…».
Le va di raccontarcelo?
«Sì. So che mio figlio vivrà ancora. I suoi occhi presto torneranno alla luce. Vedranno. E il suo cuore ricomincerà a battere. Giuseppe ha donato gli organi e questa per noi familiari è una grande speranza. È bello pensare che i suoi occhi che tanto hanno viaggiato con lui torneranno a vedere altre cose».
Ricorda quando Giuseppe si trasferì a Rimini?
«Arrivò a Rimini con tanto entusiasmo nel 2019. Andò a lavorare al distaccamento dei vigili del fuoco dell’aeroporto. Per me fu una gioia immensa. Giuseppe aveva le idee chiare, era determinato a trasferirsi a Rimini per sempre. Io gli consigliavo di fare le cose con calma ma lui era davvero motivato. Gli piaceva lo sport, gli piaceva andare in bici, andare in monopattino. Amava e rispettava la natura. Quando venivo a trovarlo e passeggiavamo mi rimproverava perché buttavo le sigarette spente a terra. “Guarda che non sei a casa tua”, scherzava».
E di quella tragica domenica cosa ricorda?
«Ricordo le parole della dottoressa. Mi fece capire che non c’era niente da fare. In fondo abbiamo sperato fino alla fine che ce la facesse, pur consapevoli che non ce l’avrebbe fatta».
A Foggia, suo figlio ha trovato una città intera a salutarlo.
«Sì. Il comandante dei vigili del fuoco ai funerali ha detto che farà di tutto per far intitolare il distaccamento dei vigili del fuoco di San Giovanni Rotondo a mio figlio Giuseppe. In questi momenti è ancora emozionante ricordare questa promessa che ci ha fatto».
Un ritratto di suo figlio?
«Mio figlio era una persona tranquilla. Magari all’inizio era un po’ diffidente ma poi si lasciava andare, si fidava. I colleghi ci hanno raccontato che era un giocherellone, lo stimavano gli volevano bene. Come tutti. È diventato pompiere per seguire la mia strada. Anche mio padre era stato pompiere durante la guerra. E il mio nipotino ha indossato l’elmetto del padre, ha detto “voglio diventare un pompiere come papà”. Questione di sangue
di Enea Conti